Incontrare un libro e il suo autore

La Natura Esposta di Erri De Luca è stata una piacevole e inaspettata sorpresa. Il mio primo romanzo di “Erri”, come molti si prendono la briga di chiamarlo. Tutti parlano di Erri. Prima di imbattermi in questa storia, spesso in libreria mi soffermavo a sfogliare i suoi libri. Per fare qualche regalo, vista la sua popolarità, così ero certa di non sbagliare. I titoli mi attiravano tantissimo: “Il contrario di uno”, “Tu, mio”, “Tre cavalli”, “Il giorno prima della felicità”, “Il peso della farfalla”. Ma quasi mai l’entusiasmo che essi suscitavano in me superava la prova della lettura della trama. In realtà ero io che mi facevo certe idee riguardo quei titoli, che poi non corrispondevano al contenuto effettivo.

Così ho sempre lasciato perdere, mi sembrava che le trame di questo Erri De Luca non fossero abbastanza consistenti rispetto alle mie esigenze.

Poi, qualche giorno fa, mia sorella Marika mi dice che al Liceo che ho frequentato io, e che ora è diventato “il suo Liceo”, è stato organizzato un incontro con l’autore. Si tratta di un certo Erri De Luca. Tendo subito le orecchie. Quando? Dove? Quale libro? Il libro che presenterà si chiama “La Natura Esposta”. Sinceramente, al contrario dei casi precedenti, questo titolo non mi dice assolutamente niente.

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Voglio andare alla presentazione, voglio vedere da vicino questo famoso romanziere di cui tutti parlano. Voglio guardare in faccia lo scrittore che è stato portato in tribunale con l’accusa di “istigazione a delinquere”, per una sua frase sulla legittimità di sabotare la TAV. Voglio sentire la sua voce e capire che attitudine ha verso la scrittura. Ma prima compro il libro. Ora sono pronta a fare il sacrificio di leggere un autore che non rientra nei miei programmi.

“La Natura Esposta”, centoventidue pagine. L’autore, nella premessa, precisa che la storia si ispira ad un “ascolto”. In particolare alla storia che un suo amico scultore gli ha riferito. E infatti, il protagonista è proprio uno scultore che vive in montagna. Mi immergo nella lettura, non perché la storia di uno scultore che vive in montagna, in sé, susciti la mia curiosità. Ma al contrario, sono mossa dalla volontà di capire come si faccia a scrivere un intero romanzo su uno scultore che vive in montagna. Alle prese con le prime venti pagine, trovo che lo stile sia molto schietto. Il romanzo si legge velocemente. Non è nemmeno suddiviso in capitoli, come piace a me. Non mi piace questa scrittura diretta, troppo rapida. Non sembra un romanzo, ma il racconto di una storia. Ed in effetti l’autore non aveva mentito nella premessa.

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Ma questa storia si arricchisce sempre di più, pagina dopo pagina. Si passa dalla montagna al mare. Il nostro scultore, per caso, si trova ad affrontare una sfida: deve “svestire” da un panno di marmo la statua del Cristo sulla croce. Il suo autore, originariamente, aveva realizzato la statua completamente nuda, come in effetti nudo era il corpo di Gesù quando è stato crocifisso. Con la “natura”, come nel sud Italia si usa chiamare il membro maschile, esposta. La personalità del protagonista è semplice, si tratta di un tipo molto riservato. Un carattere forgiato dalla montagna, dai suoi inverni rigidi, dalla sue rocce dure, dalla solitudine che molto spesso caratterizza i piccoli paesi in alta quota. Un solitario che immediatamente attrae una signora di mare. E che reagisce positivamente a questo corteggiamento al contrario, sebbene senza entusiasmo. Il suo animo, infatti, si accende soltanto quando si occupa del Cristo di marmo. Egli dà tutto se stesso, fa ricerche di tipo storico sull’autore e di tipo religioso in merito alle circostanze in cui morì Cristo. Si sposta in città, per qualche giorno, per studiare da vicino le altre statue sullo stesso soggetto. Arriva addirittura a circoncidere la propria, di natura. Ad un certo punto l’autore del Cristo, il Cristo di marmo e il restauratore sembrano essere diventati una sola identica persona.

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Salvador Dalì, “Il Cristo di San Juan de la Cruz”, 1951.

Sebbene questa storia sia raccontata in maniera fluida, è in realtà densa non tanto di avvenimenti, quanto di riflessioni e di temi.

Primo tra tutti, naturalmente, la religione. Il punto di vista è quello di un non credente che si affaccia ad essa con estrema curiosità. Infatti, il protagonista è affascinato soprattutto dalla vicenda umana, o meglio, corporale, della crocifissione di Cristo. Inoltre, il suo interesse è mosso dalla volontà di analizzare i fatti dentro ai testi. Indipendentemente da fattori come la fede, o al contrario, la miscredenza. Ed è un discorso che non coinvolge soltanto la cristianità, ma anche l’ebraismo e l’Islam; una questione di religiosità più che di religione.

Un altro argomento interessante trattato nel libro è poi quello dell’immigrazione. Ed esso è trasversale a tutte le ambientazioni del romanzo. Infatti, in montagna riguarda le persone che effettuano gli attraversamenti per passare il valico. Al mare, ritroviamo le storie degli operai maghrebini venuti dall’altra sponda del Mediterraneo. Infine, in città, ritroviamo i venditori ambulanti per le strade. E il narratore ci risparmia inutili sentimentalismi o pietismi. Semplicemente, ci racconta le loro storie.

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La Zattera della Medusa di Géricault, ad opera di Banksy, a Calais.

Una volta letto il libro, dunque, sono pronta all’incontro con l’autore.

La sala è gremita di gente. Si tratta soprattutto di ragazzi e professori del Liceo. Il dipartimento di italiano, che ha organizzato l’incontro, ha preparato un percorso di lettura di brani tratti dal libro. Le ragazze che dovranno leggere sono molto emozionate. Dopo aver atteso venti minuti, la platea irrompe in un applauso. Curiosamente, tutti ci voltiamo indietro, verso la porta d’ingresso, ma non c’è nessuno. Così, io mi rigiro verso il palchetto e riconosco l’autore, che silenzioso come un gatto, ha già raggiunto la postazione percorrendo il corridoio a ridosso del muro, anziché quello centrale.

Lo scrittore sembra discreto, esattamente come il protagonista del romanzo.

Erri De Luca è un uomo minuscolo e raggrinzito. Ha un baffetto che gli dà un aspetto bonario e degli occhi piccoli, che riescono a spuntare dal loro incavo sopraorbitale solo grazie all’intensità del loro blu. Guardandolo da vicino, sembra una roccia con due zaffiri lucenti incastonati. Nonostante la statura minuta, ha mani e piedi molto grandi, quasi sproporzionati. Per tutta la durata della presentazione e delle letture se ne sta in piedi, silenzioso, appoggiato al tavolo vicino al palchetto. Infine, il professore che modera la serata gli dà la parola.

Non ci parla del libro, dice, dal momento che già lo hanno fatto i ragazzi leggendone degli estratti. Allora, ci racconta il “dietro le quinte” del romanzo. E cioé, com’è nata l’idea de “La Natura Esposta”e a quali altre opere si ispira. Tra di esse, soprattutto molti episodi biblici, non solo legati alla morte di Cristo, ma anche alla persona di Giuseppe, agli angeli messaggeri di Dio, al tema della misericordia, alla Torre di Babele e alla questione della nudità del corpo nel supplizio della crocifissione.

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M. C. Escher, “La Torre di Babele”, xilografia (particolare), 1928.

Dopo trenta minuti di discorso ininterrotto, ci si aspetta almeno una pausa. Ma in realtà, quel piccolo uomo non ha ancora terminato ciò che ha da dire. E, parola dopo parola, sembra crescere anche la sua statura. Passa di argomento in argomento toccando molti temi di attualità che si intersecano con il vissuto personale. Ci racconta, ad esempio, di quando faceva l’autista di convogli umanitari diretti nella Sarajevo assediata. Ricorda, con gli occhi che gli brillano, il suo amico poeta che non ha lasciato la città, sopravvivendo alla guerra. Ci racconta, poi, del suo processo legato alla questione della TAV. E sottolinea, tra l’altro, l’importanza delle parole, il loro potere di riscattare l’individuo e le comunità. Qualcosa, ci confessa, che lo affascina a livello antropologico.

Non è più in piedi da venti minuti, è seduto sul tavolo, nonostante ci siano delle sedie allestite per lui. I ragazzi e il resto della platea lo ascoltano attentamente, nella sala rimbomba solo il suono della sua voce. Nessuno si è ancora alzato per andare via, nonostante l’autore stia parlando quasi da un’ora, senza interruzioni. Sembra un nonno che racconta storie avventurose a una platea di nipoti curiosi.

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Alla fine, alcuni ragazzi gli rivolgono delle domande. Alle quali egli risponde, incuneandosi nuovamente in nuovi discorsi. Ma è perfettamente consapevole di questo suo “difetto”. Tant’è che, concludendo, si scusa un po’, vista la tarda ora. Ma poi aggiunge che, in fondo, lui è venuto fin qui, fino alla punta del tacco dell’Italia, per raccontarci delle storie.

E, infatti, non avrebbe potuto farlo in un modo più esauriente e piacevole.

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