Incontri fortuiti nei mezzi pubblici

Un giorno, mentre ero sul treno Desenzano-Milano, ho incrociato lo sguardo di un uomo. Ma sì, era proprio lui, A. Che ci faceva seduto sul sedile di fronte al mio?

No, impossibile, non può essere. Si tratta di uno che gli somiglia, ho pensato. Ma aveva gli stessi occhi. Marroni, caldi, profondi.

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R. Magritte, The false mirror, 1928

Seduta nel treno del ritorno, ingoiando una gustosissima pizza di Rossopomodoro acquistata in stazione, le lacrime bagnavano, copiose, il mio viso. E mi chiedevo perché mai quell’uomo sul treno del mattino non fosse stato proprio lui. Lui non avrebbe mai permesso a Milano di rendermi la vita così vuota e grigia, in quella fredda e nebbiosa mattina di gennaio.

Una volta tornata a casa, sono uscita in giardino, dai miei gatti. Era la stagione degli amori e avevamo ospiti. C’era questo micione, bianco e grigio, a pelo lungo. Aveva gli occhi verdi e una macchia su una sola parte del faccino. Sembrava T., il gatto di A. Era talmente identico!

Sera lungo il viale Karl Johan 1892
E. Munch, Sera lungo il viale Karl Johan 1892.

Le tracce di lui erano ovunque. Anche camminando per Roma, lo sentivo. Lo rivedevo nel volto di ogni singolo passante. Nella folla, mi sembrava di diventare matta. Mi sono rifugiata in un caffé, il Buddy, vicino Largo Argentina. Mi sono seduta e ho ordinato un té. Andava tutto bene, mi ero ripresa, ricominciavo a respirare. Finché una coppia non si è seduta accanto a me. Non erano due innamorati sdolcinati. Erano due adulti che si scambiavano sguardi di complicità.

Sono letteralmente scappata dal locale, subito dopo aver pagato il conto. Avevo un vuoto nello stomaco. Sono passata da Feltrinelli, prima di raggiungere i miei amici. Ed è stato lì che ho trovato il film che cercavo: “Fantasma d’amore”, di Dino Risi, con Marcello Mastroianni e Romy Schneider.

Anche a Nino, il protagonista, è capitato, in una mattina qualsiasi, di incontrare sul tram una donna che somigliava a una persona molto importante nella sua vita.

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Dapprima, egli pensa di essersi sbagliato. Pensa che magari quella donna anziana e malata, che gli ha chiesto a prestito 100 lire per il biglietto, è solo una tizia che somiglia alla sua vecchia fiamma. Ma poi, una volta tornato a casa, il miracolo accade: Anna Braghetti, il suo grande amore creduto ormai perduto, lo chiama al telefono, chiedendogli se mai lui l’abbia riconosciuta.

Allora cominciano a riaffiorare, nella mente dell’uomo, i ricordi di una felicità semplice, fatta di giri in bicicletta e gite sul fiume; ma autentica, spontanea. Eppure oramai perduta per sempre. Difatti, è sgomento e vuoto il suo sguardo quando si desta da quei ricordi luminosi, che contrastano col grigiore della sua vita borghese nella nebbiosa Pavia.

Di domenica, in un pomeriggio piovoso, ogni cosa acquista un sapore strano, irreale. E sentivo crescere in me un’ansia, un desiderio di tornare là. Sì, di rivedere quella casa, la sua casa. Dove non ero passato più da molto tempo. In quell’intrico di stradine del quartiere vecchio. Dovevo andare ad affrontare quel ricordo. Un po’ di ricerca del tempo perduto.

Nino, dunque, si lascia trasportare dall’irresistibile richiamo della memoria e, proprio mentre cammina per le strade della città vecchia, incontra Anna. Purtroppo, contrariamente a come l’aveva sempre fatta rivivere nei suoi ricordi, la donna è davvero cambiata, invecchiata. Lo bacia e fugge via, sembra quasi un fantasma.

E infatti, Nino rimane molto sorpreso quando apprenderà, dall’amico medico, che in realtà Anna è morta da ben due anni.

Tuttavia, egli continua ad incontrarla, anche più assiduamente di prima. Si rivedono, si parlano, si toccano. E scoprono che si amano ancora. Scoprono che entrambi si sono rifugiati in una vita di coppia piatta e provinciale, ma hanno nutrito e coltivato un sentimento diretto a una persona assente, persa, come morta.

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Marc Chagall, Il compleanno, 1915

Certi amori finiscono perché si esauriscono. Altri, invece, finiscono mentre la fiamma ancora arde. Sono quelli che vengono interrotti dalle circostanze esterne. Come le distanze, sia fisiche che culturali. Le circostanze avverse. Una partenza. La precarietà di certe esistenze. Si tratta di storie maledette, che continuano a perseguitarti per il resto della vita.

-È strano Anna, ritrovarsi dopo vent’anni. Ma perché il nostro amore è finito così, senza ragione?

-Finito? Non per me. L’amore che ho per te non è mai morto. Io sono una donna, Nino. E le donne non distruggono niente, ma conservano, coltivano. Io non ho dimenticato ciò che ho vissuto. Ho tutti i miei ricordi, soprattutto quelli che ti riguardano. Tengo tutto dentro di me.

Forse Nino è solo impazzito. E continua a vedere Anna, continua a parlarle. Le rivela tutti i suoi dubbi, le dice finalmente tutte le cose che in tanti anni aveva tenuto dentro. Tutti quei discorsi, provati e riprovati nella sua mente, finalmente sembrano trovare un interlocutore.

incontro

Oppure il sogno lucido di Nino è tutto frutto della sua mente. Perché Anna è morta per davvero. Così, si convince di avere a che fare con un fantasma, quello della donna amata e perduta.

Alla fine, l’uomo convince il fantasma, o solo se stesso, che deve lasciar andare quei ricordi, che sono nutriti soltanto da un amore che non ha avuto la possibilità di manifestarsi in pieno. Così Anna scompare nelle fredde acque del fiume Ticino.

-Va bene, ora ti dico addio, tu scomparirai, ma io non ti dimenticherò. Non ti dimenticherò mai, Anna.

Eppure, Nino non può rassegnarsi. E all’apice del suo delirio, oramai ricoverato in una casa di cura per infermi mentali, si abbandona alle cure di una splendida infermiera dagli occhi azzurri. Sono gli occhi di Anna, ancora una volta.


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