Edgar e le donne: Morella e Ligeia.

Donne maledette, volitive, demoniache e immortali. Così sono certe donne protagoniste dei racconti di Edgar Allan Poe. Ce ne sono anche di dolci e fragili, in realtà, soprattutto nelle poesie. Ma quelle che vi rimarranno più impresse nella mente, come nel mio caso, saranno certamente Morella e Ligeia. Entrambe sono accomunate da un immenso amore, sempre immeritato, nei confronti del protagonista, che scrive in prima persona. Ed è questo amore che alla fine farà vincere loro la morte, in un tentativo di inquietante resurrezione.

Morella e Ligeia sono entrambe delle donne coltissime, trascorrono le ore ore in biblioteca con il protagonista a leggere trattati di filosofia. In particolar modo, però, esse sono interessate alla filosofia trascendentale ed è questa la chiave di lettura delle loro storie. Il loro interesse è quasi stregonesco: la consapevolezza della precarietà della vita le spinge a interessarsi a questioni inerenti l’immortalità. Ma lo faranno in maniera differenziata.

morella-di-martini

Morella, la donna diafana, delicata e dai capelli ricci, è innamorata del protagonista/narratore, con cui convola a nozze. Purtroppo, però, costui non solo non ricambia il sentimento, ma reagisce ad esso sviluppando un profondo odio nei suoi confronti. I suoi discorsi sul misticismo, sulla vita ultraterrena e sull’eventualità di una coscienza imperitura, proferiti da lei con voce melodiosa e con occhi malinconici e spiritati al contempo, lo angosciano e lo riempiono di terrore. Quando poi la donna si ammalerà, arriverà addirittura ad esserne contento e ad augurarsi che i suoi giorni finiscano al più presto:

Dovrò dunque dire che con desiderio intenso e struggente anelavo al momento della morte di Morella? Sì, era così; ma per molti giorni il fragile spirito si aggrappò alla sua dimora d’argilla […] e quell’indugiare mi rese furibondo, e con cuore di demonio maledissi i giorni e le ore e gli attimi amari che parevano allungarsi sempre più […].

Morella è consapevole del suo amore non ricambiato, e sebbene finga che non gliene importi, è in procinto di preparare una terribile vendetta, proprio poco prima di morire:

Io muoio, ma vivrò. […] I giorni in cui avresti potuto amarmi sono finiti – ma colei che aborristi in vita adorerai in morte.

Così morendo, Morella dà alla luce una bambina che cresce rapidamente, soprattutto dal punto di vista intellettuale. E man mano che passa il tempo, ella assume sempre più le sembianze della defunta madre. Al contrario di essa, però, ella riceve un immenso e morboso amore da parte del padre, un amore che fa persino dimenticare, a quest’ultimo, di darle un nome. Quando infine egli deciderà di battezzarla, un’assurda perversione si impadronirà della sua mente, che gli farà sussurrare il nome di Morella da attribuire alla figlia. Al pronunciare di quella parola, la giovane donna risponde “Sono qui” e cade a terra, esanime. Ma quando l’uomo andrà a seppellirla accanto alla tomba della madre, la troverà vuota: alla fine Morella è riuscita a trovare il modo di farsi amare, facendo rimpiangere realmente e amaramente al protagonista la sua assenza e la sua morte, attraverso un tormento continuo e senza fine.

KLIMT LE GEMELLE

La stessa resistenza nei confronti della morte, ma con una diversa declinazione, caratterizza la personalità di Ligeia. Il narratore, questa volta, è innamoratissimo della sua donna.

Come per Morella, egli ne esalta le caratteristiche fisiche quali i cappelli folti e neri, la pelle eburnea, la costituzione snella e delicata e la voce dolce e profonda. Ma in particolare, stavolta egli si sofferma sugli occhi della donna, dai quali è ossessionato a causa della loro grandezza sproporzionata e della loro profondità. Anche Ligeia, però, si ammala e alla fine, dopo una strenue resistenza, muore.

E mentre emetteva i suoi ultimi aneliti, venne sulle sue labbra a mescolarsi con essi un indistinto mormorio. Tesi l’orecchio e riconobbi ancora una volta le ultime parole del brano di Glanvill: “….l’uomo non cede agli angeli, né interamente alla morte, se non per la debolezza della sua minuscola volontà”.

Il narratore, senza più voglia di vivere, cade in uno stato depressivo maniacale. Preda di un delirio sconosciuto, egli decide di adibire una vecchia abbazia inglese a propria dimora, personalizzando una delle stanze da letto con drappeggi quasi funerei, decorati in maniera bizantina con ricami neri e dorati che paiono muoversi ad ogni cambiamento di prospettiva. Dentro questa stanza accoglierà, poi, una giovane donna che ha deciso di sposarlo per interesse: si tratta della bionda Lady Rowena.

ligeia

La povera malcapitata, però, non sopravvive all’orrore di vivere in una camera ai cui quattro angoli sono sistemati dei neri sarcofagi egizi, mentre tutto attorno sembra che qualcosa si muova sotto il passaggio di un essere invisibile. Così, dopo mesi di tormento, malattia e visioni, Lady Rowena muore. Ma mentre il narratore, in una notte particolarmente caratterizzata dai fumi dell’oppio, assiste la salma ricoperta dal sudario prima del seppellimento, sente dei gemiti provenire dalla bara. Dapprima scettico, poi incredulo, egli si avvicina al corpo della donna che all’improvviso si ridesta e comincia a camminare. E quando, per effetto di ciò, le lenzuola che la ricoprono cadono per terra, i capelli di Lady Rowena non sono più biondi, bensì neri: il narratore è oramai al cospetto di Lady Ligeia.

Rileggendo queste storie, oltre che farmi venire la pelle d’oca, sono sempre stupita dal modo iperbolico attraverso il quale Poe descrive la straordinarietà estetica ed intellettuale di queste donne. Ma ancor di più mi piace pensare che in fondo questo fosse anche un modo per dimostrare quanto egli fosse innamorato dell’essere femminile. E credo pure che noi donne del 2016 potremmo ispirarci a queste giganti, non tanto per quanto riguarda l’immensità del loro sapere, ma soprattutto per la forza incommensurabile della loro volontà.


Lascia un commento